Josè Villalobos
3 Maggio 2019
la sombra del tiempo
incisioni e tecniche miste
4 – 26 maggio 2019
a cura di Ubaldo Rodari
testo e presentazione di Stefania Burnelli
“L’uomo è, nonostante l’apparente frammentazione dell’ambiente a lui dovuta,
un essere della natura. E la natura rimane nell’essere come un promemoria
nascosto negli angoli della coscienza” ( José Villalobos).
Ogni paesaggio esterno è qualcosa che ci portiamo dentro, ogni forma, come
l’abside di una chiesa o la rotondità di un sasso, porta in sé lo stupore, ma anche
la permanenza. L’arte di Villalobos parla di questo, ne fa tesoro. Si sostanzia di
ombra, di luce, di terra, di cielo, e trasforma la visione in una gra a intuitiva ed
emotiva, fuori da ogni carattere narrativo e tantomeno decorativo.
La sua pittura, come la sua opera gra ca, si concentra su problemi di forma, di texture, di colore. Villalobos è un colorista nato, ma la sua tavolozza non è compiaciuta o compiacente, è piuttosto concisa, ruvida, essenziale. Il colore non è semplicemente una lunghezza d’onda luminosa, né solo uno stato mentale: il colore è risonanza dei cicli del tempo e delle stagioni, delle rocce e dei minerali, è contaminazione di elementi autoctoni della natura e della cultura di Oaxaca con echi di colore-spazio di risonanza in nita nel Novecento delle avanguardie.
Le carte di Villalobos sono mappe dai con ni aperti o trasgrediti, dove segni, sigle, croci, linee migrano attraverso le super ci a partire da un centro perduto o insussistente, suggerendo derive oltre il margine dello spazio inciso. Sono opere in cui vibra una tensione mai risolta tra lo slancio dell’idea e il peso della materia: un’inquietudine che si legge ancora, viva, sulla carta, laddove l’ombra del solco inciso si proietta sull’orizzonte modulato della pagina.
“La sombra del tiempo”, l’ombra del tempo di Villalobos ci parla proprio di questo diaframma incolmabile tra le cose, le strade, gli individui, le memorie, che sono tenute insieme e ugualmente divise dalla visione: lo sguardo di chi osserva è invitato ad una sorta di erranza sulla super cie, ma si regge su punti d’appoggio o di con ne ben distinti, in precario e costante equilibrio tra il tutto e la parte.
“Non si può pensare alla luce senza ombra” scrive Villalobos “alla stessa maniera in cui non si può pensare al suono senza il silenzio”. E così come l’ombra di un albero sul muro lascia impronte sulla retina di chi passa, l’artista si chiede se
le ombre lascino tracce sul paesaggio. C’è forse una reciprocità segreta nella
realtà oggettiva come nella realtà soggettiva?
Analogamente, il poeta Eugenio Montale interrogava la vita: “Vedi, in questi
silenzi in cui le cose / s’abbandonano e sembrano vicine / a tradire il loro
ultimo segreto, / talora ci si aspetta / di scoprire uno sbaglio di Natura, /il
punto morto del mondo, l’anello che non tiene, / il lo da disbrogliare che
nalmente ci metta / nel mezzo di una verità” (da “I limoni”).
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