Debora Zamboni
9 Agosto 2019
trame di materie
dal 10 agosto al 1 settembre 2019
a cura di Francesco Pagliari
testo e presentazione di Francesco Pagliari
Nell’indagine artistica ed operativa di Debora Zamboni assume rilevanza fondamentale un’attitudine di approfondimento nei confronti della realtà, che comporta la necessità di innervare relazioni profonde con la natura, con le cose di natura, con oggetti e sensazioni, determinando una conoscenza partecipe degli elementi costitutivi del tempo e della materia: le opere narrano di processi espressivi, che si sostengono attraverso percorsi molteplici, itinerari intrecciati di analisi e di sintesi, nell’aperta dichiarazione per introdurre sensibilità, verso la denotazione di un senso profondo che traspare nelle cose indagate e muove verso una possibile saturazione dell’espressione e dell’osservazione.
Elementi del mondo vegetale e del mondo minerale si lasciano abbracciare dallo sguardo di Debora, per riprodurre sequenze concettuali, per inserire cristallizzazioni del tempo e per rinnovare l’espansione di senso che procede dalla materia e si accorda ad un percorso coerente di creazione: cogliere meccanismi interni alla percezione e alla determinazione di un correlarsi progressivo fra concrezione istantanea e sublimazione. Nell’opera, il tramite fra “oggetto” e formalizzazione compone varianti che si ricollegano a processi d’astrazione e nello stesso tempo attraversano stratificazioni di segni e sensi: la concretezza della materia si trasforma in tracciati evolutivi, densi di allusioni e di indicazioni di piena sensorialità. L’opera – nella necessaria coniugazione con il sostrato espressivo di carte, che non sono un mero supporto, ma divengono parte di un progetto d’idealità – è il prodotto d’un processo di trasformazione, assimilando in sé notazioni aeree, conglobando vibrazioni ritmiche, assumendo il valore di una continua scoperta, di una continua invenzione.
Intravedere la connessione fra materia e percorso di sublimazione della forma, significa forse riconoscere la progressione verso un’idea sincretica che oscilla fra espressività romantica e fenomenologia delle trasformazioni – come se si potessero ripercorrere idealmente sequenze di “affinità elettive”, artisticamente e chimicamente espressive -. Un equilibrio mutevole, fra memoria e mutazioni, emerge nella costruzione di senso che le immagini cristallizzate propongono: l’impronta, la traccia di un oggetto concreto evolvono in un lento processo d’indagine che prende forma e si espande a considerare le ipotetiche trame di materie che valutano i “confini” del fare artistico, dell’oggetto d’espressione: gli spazi nelle carte, il vuoto che attornia la concretezza dell’impronta di un oggetto, la dilatazione dei confini visivi, la pressione dell’aria nelle sonorità dinamiche e vibratili che si insinuano nelle immagini. Un universo che comprende la descrizione delle proprie tracce e si sublima in una leggibilità tesa dell’astrazione, un universo che incorpora dinamiche sensoriali e fa propria l’attesa del dire e del vedere, in un itinerario conoscitivo che rende esplicita la visione della sensibilità. L’aria si introduce nelle opere, e rende possibile il respiro, definisce l’intensità delle emozioni per identificare – come avviene osservando un tessuto intercalato di trasparenze fluide e di densità, variabili differenziate – una continuità partecipe, un progetto ideale nell’interrogare gli aspetti di una luminosità mutevole che si diffonde, giorno per giorno, e si riproduce nel segno e nella connessione di spazi e forme/materie che costituisce la trama di sensorialità nelle opere di Debora, un’evidenza manifesta che avvalora la realtà delle trasformazioni elettive.
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