Siro Penagini
5 Ottobre 2019
1885-1952: studi inediti
disegni e incisioni
dal 5 al 27 ottobre 2019
a cura di Giulia Grassi
testo e presentazione di Giulia Grassi
I fogli presenti in questa esposizione costituiscono una parte del patrimonio grafico del milanese Siro Penagini1 (1885-1952), molti dei quali rimasti inediti alle mostre e alle pubblicazioni2.
È significativo che l’ultima personale dedicata all’artista ancora in vita fosse incentrata esclusivamente sui disegni3, come ultimo, forse più autentico, messaggio di comprensione della sua ricerca.
Non a caso Vincenzo Costantini nel breve saggio del 1957 scriveva «[…] ma certo la squisitezza delle forme e cui tende l’arte di Penagini non sarebbe stata possibile senza una lunga preparazione nell’esercizio del disegno che è alla base di chi pratica le arti figurative. Ed in questa tecnica di studio e di penetrazione, il Penagini fu maestro […]»4.
La volontà di indagare in profondità aspetti eterogenei della realtà, lo condusse ad un ritorno e ad una ripresa costante dei temi tratti.
Coglierne gli eccezionali cambiamenti attraverso la grammatica compositiva del segno, è uno degli argomenti di riflessione che questa mostra cerca di proporre.
L’esperienza di Siro Penagini, come è stato più volte sottolineato dalla critica, è leggibile all’interno di un più ampio contesto artistico europeo dei primi trent’anni del Novecento.
La sua opera «diretta, splendente, di una consapevolezza d’espressione e di gusto così raramente temperata, costituisce un episodio di reale validità poetica nella pittura contemporanea» nella quale, tuttavia, «non incise, rendendo isolata questa esperienza personale e feconda». Con queste parole, Carlo Ludovico Ragghianti presenta il lavoro di Penagini nell’ambito della mostra Arte in Italia 1915-1935 inaugurata a Palazzo Strozzi a Firenze nel 1967. Il critico, nel saggio introduttivo al catalogo, sottolineava come, la storia dell’arte moderna e contemporanea si fosse presentata attraverso una successione di “ismi”, dall’impressionismo al fauvismo, al cubismo, all’astrattismo, ognuno superando ed eliminando l’altro. Chi non fosse stato ascritto sotto l’una o l’atra etichetta, sarebbe stato considerato un disturbatore dell’ordine o piuttosto classificato a parte, come un irriducibile e scomodo indipendente. Il rischio di questa classificazione è, infatti, quello di ridurre l’arte alle poetiche, limitando così nelle medesime forme di inquadramento le personalità e le esperienze degli artisti con l’effetto di un livellamento che evita i problemi di ricerca critica.
Le mie brevi considerazioni vorrebbero, infatti, essere incanalate in questa direzione, nella consapevolezza di essere soltanto una delle numerose premesse a quegli studi prossimi necessari sull’arte di Penagini. Sarà fondamentale impostare una ricerca scientifica basata prima di tutto su una più ampia e precisa catalogazione delle opere, oggi conservate in diverse collezioni pubbliche e private e rintracciando quelle magari dimentiche nei magazzini. Un lavoro che richiede un ingente dispendio di energie e risorse, ma fondamentale per poter costruire una prima monografia dedicata all’artista con un catalogo completo di pitture e disegni.
Dopo gli studi temporanei all’Accademia di Brera a Milano, Siro Penagini si trasferisce a Monaco tra il 1906 e il 1907 per frequentare l’Akademie der bildenden Künste. Qui operano artisti di forte personalità, lontani dalla rigida impostazione accademica. I critici illustrano il loro lavoro con la nuova definizione di Espressionismo. Se l’Impressionismo filtrava, attraverso la percezione, i dati che provenivano dall’esterno per rendere l’immagine immediata in termini di luce e colore, l’Espressionismo proiettava sui dati esterni un’esasperata soggettività.
Negli studi di questo periodo e in quelli successivi ai viaggi a Berlino (1909), Dresda (1909) e Parigi (1913)5, Penagi mostra di saper accogliere e sintetizzare in un linguaggio personale gli stimoli derivati dalle opere dei pittori Fauves, della Die Brüke, ma soprattutto della pittura della scuola di Pont-Aven, il gruppo di artisti nato nell’omonima località bretone intorno a Gauguin, di cui Penagini assume le lineature, le campiture da smalto, la colorazione di toni puri. Giovanni Testori, infatti, già nel 1985, in occasione di una retrospettiva dedicata all’artista presso il Museo del Paesaggio di Verbania, riferendosi alla capacità di Penagini di guardare all’esperienze artistiche oltremontane scrive: «Chi più di lui in quell’anno si trovava in una situazione così naturalmente europea?»6.
L’osservazione dei fogli dedicati alla figura femminile, spesso ritratta in difficili scorci, ci fanno comprendere il passaggio da un disegno più d’atmosfera simbolista (Nudo di schiena, 1910 ca.) ad un segno più incisivo e asciutto che lo avvicina, secondo un’interessante intuizione di Mario de Micheli (1969), alla pittura nordica (Bagnanti al vento, 1915 ca.). Penagini sembra infatti presto attratto dalla “sinteticità” della rappresentazione. Nel disegno, come nella pittura, ricorda in un certo senso la “semplicità” dell’arte medievale delle vetrate gotiche con la brillantezza dei colori piatti e i le figure definite da contorni lineari. Lo possiamo osservare nella serie dedicata agli animali, come lo studio per il dipinto Cavallo bianco alla marina di sera, realizzato durante il soggiorno a Terracina (1914-1918 ca.); o ancora nei fogli in bianco e nero, che esprimono i caratteri umani ed il folclore di Positano (1914-1919), o della Sardegna dove ritrae la gente dei paesi delle montagne, pastori e donne nei loro abiti arcaici (1920-1923).
Il recupero di una arte “primitiva”, non solo nella composizione formale, ma anche nella scelta dei soggetti lo avvicina7 al Movimento del Novecento, guidato da Margherita Sarfatti con il quale espone alla I Mostra del Novecento Italiano a Milano nel 19268, all’Esposizione Nazionale d’Arte Biennale di Brera9 nel 1927 e alla Künstler de Neun Italian presso la Kunsthalle di Berna nel 1930, insieme a Sironi, Martini Carrà, Casorati, Morandi e Severini, Dudreville, Funi, Malerba, Oppi, Marussing. Novecento, tra gli anni Venti e Trenta, riunisce il meglio della figurazione italiana. La Sarfatti e i suoi artisti hanno creduto non soltanto che Mussolini potesse sostenere l’arte italiana all’estero, ma che potesse anche ristabilirne la supremazia, quasi come ai tempi del Rinascimento. Il fascismo però userà l’arte non tanto per esprimere una concezione del mondo, ma per il potere evocativo e demagogico delle immagini e dei simboli. Su queste considerazioni si confrontino i fogli di Penagini per le commissioni ufficiali: lo studio raffigurante Mosè con le tavole della Legge per il Palazzo di Giustizia di Milano, che sarà realizzato ad affresco nel 1939, in un’aula della sezione penale dell’edificio e i bozzetti destinati alla creazione di grandi mosaici per l’E42 di Roma, mai iniziati poiché la guerra costrinse alla sospensione dell’intero progetto dell’Esposizione Universale.
Una riflessione a parte meritano gli studi realizzati nel periodo della sua permanenza a Solcio di Lesa (1919-1922) sul Lago Maggiore. Il disegno si fa delicato e penetrante come il Bambino che dorme, colto nell’immobilità del sonno. Sono di questo periodo le numerose nature morte che riscuotono un certo successo alla Biennale e alla Quadriennale di Venezia, alle quali partecipa dal 1920 al 1952: «Tre pittori italiani si sollevano sopra tutti gli altri con una immediata evidenza che anticipa ogni lavoro di selezione. Uno è Felice Casorati […], altro artista superiore è Felice Carena […] terzo infine è Siro Penagini. È il pittore più schivo, più modesto che ci sia, le sue nature morte sono fra le opere più gradevoli di una grande mostra. È un pittore sottile, di note cromatiche filtrate dalla fantasia, e di espressioni gelide e fulgide, come grani di neve specchiano, sciogliendosi, iridi e colori lucenti del mondo»10.
1 Siro Penagini (Milano, 1.12.1885 – Solcio di Lesa, 8.12.1952).
2 I disegni presenti in mostra provengono da una raccolta privata piemontese.
3 Cfr. “Galleria Gavioli” – Milano, 1950-1952 in siropenagini.it.
4 Crf. V. Costantini, Siro Penagini. 1885-1952, Milano 1937.
5 La critica non è concorde sul soggiorno a Parigi di Siro Penagi. Per Mario De Micheli (1999) l’artista non si sarebbe mai recato nella capitale francese. Secondo Carlo Ludovico Ragghianti (1967) invece, avrebbe esposto al Salon des Indépendants del 1913.
6 G. Testori, Sarebbe piaciuto a Manzoni, in «Corriere della Sera», 24 luglio 1985, opera cit.
7 Siro Penagini si avvicina al gruppo ma non ne prende parte. Nel periodo di residenza a Milano, quando divideva lo studio con Malerba, se avesse voluto avrebbe potuto già nel 1923 prendere parte al primo gruppo di pittori del Novecento riuniti da Margherita Sarfatti, ma rifiuta l’invito. Cfr. Crf. G. di Genova, Storia dell’Arte Italiana del ‘900 per generazioni, 2010, pp. 874-875.
8 «Penagini […] alla I mostra del Novecento, oltre ad un disegno colorato, aveva esposto un paesaggio (Sera d’Inverno) e una natura morta». Crf. G. di Genova, Storia dell’Arte Italiana del ‘900 per generazioni, 2010, p. 874.
9 Il rapporto con Margherita Sarfatti risulta ancora controverso. Dimostra parole positive nei confronti di Penagi recensendo la mostra di Brera: «Siro Penagini, con “Fine inverno”, paesaggio ancora romanticamente scritto, grafico, più che plastico, tutto fuso al fuoco di una delicata e penetrante commozione, dice parole di sincera poesia», cfr. M. Sarfatti in «Il Popolo d’Italia», 21 ottobre 1927 in G. Di Genova, Storia dell’arte italiana del ‘900 per generazioni 2010, p. 874 sotto la nota 2.
10 G.L. Luzzato, Convivium, 1934, n. 4-19, opera cit.
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